Giorno 42 – ore 12:30 (fuso brasiliano)
Ora sono sull’aereo per Rio de Janeiro e mi aspettano altre cinque ore di volo. Guardo fuori dal finestrino e la vista è bellissima. Oceano blu e bianche nuvole. Sono decisamente di buon’umore: dieci ore su un aereo posson sembrare tante, ma non lo sono affatto: non mi preoccupano e non mi pesano. Dieci ore sono tante quando si vive sotto l’implacabile giurisdizione del frenetismo quotidiano, ma a me nulla corre dietro, nulla mi fa fretta. E il tempo ha assunto differenti valenze da quelle che aveva prima della mia partenza. *Fine divagamento da riflessione aerea*
Il motivo della temporanea interruzione di aggiornamento del blog è che mi ero accasato a Lisbona. Non accasato accasato, solo temporaneamente. Ho fatto una decina di giorni di vita da sedentario quasi routinaria, al posto di quella da nomade itinerante.
L’unica differenza da quando ero a Bologna è che ero a nella capitale del Portogallo e non nel capoluogo dell’Emilia-Romagna. E che ero ospitato da due fratelli e una sorella, tutti giovani e delle gran persone. E che nel loro appartamento ospitavano un sacco di gente. Precisamente, nel giro di dieci giorni, undici tedeschi, tre italiani, una neozelandese, un’australiana, una finlandese, una polacca, due croate e un malesiano. Un sacco di gente.
A pensarci bene, non è proprio come quando ero a Bologna! Però dopo qualche giorno fermo nello stesso posto mi abituo in fretta alla situazione e, per quanto sia stato bene in quella casa, non avevo la spinta del fascino della novità.
Ripeto, stavo molto bene, ma non sentivo la “pulsione” di raccontare.
Lisbona è una bella città ma in quanto metropoli, per via della grande e veloce espansione, ha perso le peculiarità culturali del paese che riescono a mantenere città più piccole. Mi ricordava un pò Roma in certi punti, in altri Madrid. E’ quello il brutto delle grandi città, si assomigliano un pò tutte. Per lo meno in Europa.
Ma non fatevi un’idea sbagliata, Lisbona è una bella città, dico solo che appare “meno portoghese” di altre.
Le cose successe in tutte questi giorni sono tante e non posso raccontarle tutte, ma elencherò solo quelle che mi sono piaciute di più:
– far baldoria ogni notte fino alle due, nell’atmosfera cosmopolita che quella casa poteva offrire;
– la torre di Belèm, una torre che sembra uscita da una fiaba medievale, bagnata su un lato dal fiume Tejo. E’ davvero un bel monumento e doveva esserlo ancora di più tempo addietro quando, con lo scopo di difendere il porto di Lisbona, si ergeva imponente sul fiume, bagnata dall’acqua da tutti i lati;
– il caratteristico tram 28 a corrente: oltre a essere uno dei simboli della città, è anche divertente farci un giro. Ma non alla classica maniera, pagando e sedendosi, bensì stando fuori tenendosi aggrappati alla porta e godendosi il tour, rinfrescati dalla brezza del vento;
– il paese di Sintra: si raggiunge in poco più di mezz’ora di treno dal centro di Lisbona ed accoglie, a mio parere, la meta più bella di Lisbona e dintorni: la “Quinta da Regaleira”. La Quinta da Regaleira è una tenuta dotata di parco, laghetti e grotte. Detta con semplici parole non sembra presentare nulla di così interessante, ma è un posto veramente peculiare. Il palazzo, finemente scolpito, è ricco di raffigurazioni cariche di simbolismo, esoterismo e mitologia.
Il giardino, più curato in basso e più selvaggio man mano che ci si addentra, è così suggestivo che fa dimenticare di essere vicini ad un paese moderno. Sembra di essere all’interno di un film Disney. E l’atmosfera fiabesca si fa più intensa quando si giunge a delle grotte che si insinuano nella montagna. Sono buie e ciò suscita domande su cosa si possa nascondere all’interno. Ma facendosi coraggio e percorrendo i rozzi cunicoli, si intravede dopo qualche decina di metri uno spiraglio di luce. Si aumenta il passo e ci si ritrova, nel mezzo del colle, nel fondo di un pozzo che si innalza di 30 metri, fino a raggiungere la superficie. Una scala a chiocciola permette di risalirlo ma, a metà della scalata, un’altro percorso si insinua nella roccia e non si riesce a vincere la curiosità di sapere dove porta. E nella costante esplorazione si continuano a trovare nuovi percorsi che portano a punti differenti del parco. Ma avendoli raggiunti tramite buie cave ed avendo perso totalmente la cognizione spaziale non si ha la minima idea di dove ci si trovi, rendendo il tutto magico e misterioso.
Penso che la principale spinta dell’esploratore sia l’ignoto. Un ignoto che lo eccita e lo spaventa allo stesso tempo. Ma non è paura e eccitamento di quello che pensa di trovare, bensì tutto il contrario. Il timore e il fervore di quello che NON SA di trovare. E’ un pò come il diverso, “l’alieno”, che suscita spavento nell’uomo, ma allo stesso tempo una forte attrazione. E spesso il “diverso” è tale solo perchè nuovo e non conosciuto.
Ci si rapporta col mondo esterno, animato o inanimato che sia, in base alle conoscenze che si possiede già, e quando si incontra qualcosa di non conosciuto, che non si riesce a rapportare alle passate esperienze o che non risponde ai soliti canoni, è in quel momento che divampa la sensazione che sto cercando di spiegare.
E ora la sto provando, simile a quella di quarantadue giorni fa, quando mi son chiuso la porta di casa alle spalle non avendo la minima idea di cosa sarebbe successo in quella giornata, in quella settimana e in quelle a seguire.