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Ci sono delle volte che mi scordo totalmente del fatto che sto peregrinando per il mondo e tutto mi sembra normale, ordinario.
Poi qualche situazione o qualche visione particolare mi ricatapulta nel paese dove sono e realizzo quello che sto facendo. Mi è capitato varie volte ed ultimamente alla partenza da Rio.

In compagnia di un australiano che è venuto con me sono andato alla stazione degli autobus, ho comprato il biglietto e son salito sul mezzo. Da sottolineare la grande comodità dei sedili, morbidissimi e molto reclinabili.
Il viaggio non era troppo lungo, ma neanche cortissimo. Due ore e mezza… perfetto per un film!
Ho preso fuori il computer e l’ho appoggiato sulle gambe, poi ho aspettato la partenza chiaccherando col mio temporaneo compagno di avventure. Il tutto completamente ignaro del fatto che ero in Brasile e che uscivo da Rio de Janeiro per la prima volta.
Semplicemente sovrappensiero, inconscio del fatto che lo spostamento sarebbe stato interessante tanto quanto farlo, per dire, camminando. Non è come essere all’interno di un aereo che (ad eccezione di decollo, atterraggio e pochi altri momenti) la vista è sempre la medesima: sali ad alta quota, il tempo sembra fermarsi e dopo qualche ora ti ritrovi trasportato in un altro luogo, senza aver effettivamente visto quello che si è attraversato via terra.

Il film era partito appena usciti dalla stazione; non al computer, ma fuori dall’autobus. Il finestrino era lo schermo, il paesaggio la scena.
Immense distese di verde foresta atlantica su terreno piano e monti, ogni tanto qualche casetta nascosta tra la vegetazione, ogni tanto qualche villaggetto con molte cose in comune con le favelas di Rio.
Arrivati a destinazione il computer era ancora nella stessa posizione: appoggiato sulle gambe, spento e chiuso.