Sempre con l’intenzione di arrivare il prima possibile al mare, il giorno successivo alla visita del Borobudur prendiamo il treno che ci porta a Probolinggo, dove vogliamo fare un’escursione notturna per veder l’alba dal Bromo Vulcan.
A Probolinggo veniamo ospitati da un ragazzo trovato tramite CouchSurfing che lavora in un ufficio turistico e quindi, senza neanche chiederglielo, ci ha già organizzato l’escursione per la notte.
Partenza ore 2 a.m. caricati in motorino da dei suoi amici. Dopo un’oretta di viaggio al buio e al freddo arriviamo al punto più alto dove i mezzi possono arrivare.
Il cielo è irreale: c’è più giallo delle stelle che nero del nulla.
Da lì proseguiamo a piedi e saliamo fino al punto di osservazione: c’è troppa gente per i nostri gusti e continuiamo quindi un altro pò trovando uno spiazzo più tranquillo.
L’attesa non è lunga e alle 4 a.m. inizia già ad esserci più luce; sono circa le 5 a.m. quando spunta la palla infuocata.
La montagna davanti a noi sembra abbracciare il vulcano, con un filo di fumo che esce dalla sua cavità quasi non volesse darsi per vinto.

Il soffice mare di nuvole

Il soffice mare di nuvole

Lo spettacolo è letteralmente mozzafiato: le nuvole ancora basse formano un mare soffice dal quale spuntano le montagne colpite dai raggi ancora timidi del sole appena sorto.
Raggi filtrati dalla foresta

Raggi filtrati dalla foresta

Contempliamo a lungo il panorama che cambia colori ogni secondo.
Più il sole si alza e più le nuvole scendono, mostrando ciò che stavano celando prima: la valle, ora visibile, da una nuova faccia al paesaggio e i fasci di luce filtrati dagli alberi trasmettono pace e suggestione.
Che panorama!

Che panorama!


Con l’innalzamento del sole, oltre al cambiamento di colori e panorama, cambia anche la temperatura che aumenta ritornando pian piano al caldo torrido dell’Indonesia che conosciamo.
Finita la manifestazione che ci ha donato la natura rimontiamo in sella e scendiamo a valle.
Ci dirigiamo verso la biglietteria degli autobus in modo da prendere un notturno e raggiungere Bali, ma quando stiamo per comprare i biglietti ci balena in mente l’idea di saltarla per il momento e andare direttamente a Lombok.
Sono una ventina di ore in autobus compresi due traghetti, è fattibile. E che Lombok sia!

Giungla e templi.

Pubblicato: 28 gennaio 2013 in Senza categoria

Viaggiare in autobus di notte ha dei pregi, tipo il poterm dormire se ci si riesce, ma anche dei difetti, ad esempio il fatto che è buio e non vedi nulla di quel che c’è fuori.
Ma il viaggio da Jakarta a Yogyakarta prende 15 ore, quindi a un certo punto viene mattina.
Quando apriamo gli occhi rimaniamo incantati dal paesaggio: in silenzio, in contemplazione del mondo esterno, veniamo assorbiti dal verde che stiamo attraversando.
Campi di risaie di un colore innaturalmente acceso, stupende palme che costeggiano la strada e folta giungla.
Nell’ultimo articolo ho detto che India e Indonesia avranno anche le prime tre lettere uguali, ma sembra di essere in un altro mondo.
In questo invece dico che Jakarta e Yogyakarta avranno anche le sei ultime lettere uguali, ma sembra di essere in un altro mondo!
Da migliaia di macchine, centri commerciali e grattacieli, si passa a casettine rustiche e basse immerse nel verde.
La prima notte la passiamo in una casa in muratura, in mezzo agli alberi e senza porte nè finestre.
Di zanzare non ce ne sono tante quante temiamo, anche se ci sono molti altri esseri volanti notturni, alcuni grossi quanto un pollice.
Combinando a questi elementi il letto che è niente più che assi di legno, decidiamo di spostarci per la seconda notte.
Dopo l’India e col caldo allucinante che c’è in Indonesia abbiamo voglia di mare e abbiam quindi intenzione di stare giusto due giorni qua, poi di spostarci a Proboolingo per fare un trekking al Bromo Vulkan e poi andare nell’isola di Bali.
Il Borobudur Temple, meta celebre dell’isola di Java, è sicuramente l’highlight dei due giorni: è il tempio buddista più grande del mondo.
Quando c’è di mezzo “il più..”, non si può mai essere delusi.

Particolare di un altorilievo del Borobudur

Particolare di un altorilievo del Borobudur


Centoventitre metri per centoventitre di base, trentacinque metri di altezza: l’imponenza non gli manca.
Duemilaseicentosettanta due pannelli di altorilievi, cinquecentoquattr o statue di Buddha: la maestosità non gli manca.
Campane e giungla

Campane e giungla


Anche l’ambiente circostante non è da meno, ancora una volta caratterizzato da quel verde che tanto ci meraviglia.
Purtroppo per ricreare meglio il quadro che vediamo manca un particolare per così dire.. ingente.
Duemilioniemezzo di visitatori all’anno: anche i turisti non gli mancano.
Non ci sarà un’atmosfera da Indiana Jones, ma il piacere è assicurato.
Davanti al Borobudur

Davanti al Borobudur

In Indonesia!

Pubblicato: 27 gennaio 2013 in Indonesia!
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Dopo 4 ore di volo dall’India a Singapore e 10 ore di scalo al Changi Airport, l’aeroporto più futuristico che c’è e così attrezzato da farti sentire in una piccola città, dopo esserci trasformati in omini della Michelin indossando mille vestiti e riempiendoci ogni tasca perchè gli zaini son troppo pesanti per essere portati come bagaglio a mano, dopo altre 4 ore di volo da Singapore all’Indonesia, atterriamo a Jakarta.

India e Indonesia avranno anche le prime tre lettere uguali, ma sembra di essere in un altro mondo: da quella parte di globo che viene definita “sub-continente indiano” siamo passati a quella chiamata “sud-est asiatico”, quella a cui sono particolarmente legato dopo il mese che ho passato in Thailandia all’inizio del 2012.
Arriviamo che sono già le sette di sera, ma la temperatura sembra quella delle 3 del pomeriggio. Una signora di couchsurfing, Magda, ci ospita per le prime due notti e già solo durante la ricerca della sua casa abbiamo prova della gentilezza del popolo indonesiano: non esitano a prestarci il cellulare per avvisare Magda del nostro arrivo e successivamente un ragazzo in motorino si ferma vedendoci vagare nel buio e decide di accompagnarci fino a che non troviamo la casa.
Il nostro piano è di andarcene il prima possibile dalla capitale, che può offrire poco più che ore di imbottigliamento nel traffico. E così fa, facendoci perdere l’autobus per Yogyakarta.
Ma non ci facciamo scoraggiare e col sorriso in bocca torniamo a casa di Magda, con un biglietto per il giorno successivo.
Dopo aver cucinato della pasta non così ben riuscita, ma particolarmente apprezzata, andiamo alla stazione degli autobus. Il bus dovrebbe partire alle cinque, noi andiamo alle tre, ma poi parte alle nove: il motivo? C’è troppo traffico per la strada e l’autobus non riesce a immettersi. E così stiamo sei ore nella stazione degli autobus a chiaccherare con qualche indonesiano che sa qualche parola di inglese o a mangiare noodles e riso.

Un paese che colpisce l’India, su questo non credo ci sia nessuno che non sia d’accordo. Nove giorni sono forse pochi per capire un paese e ancora meno per capire un popolo, ma sono abbastanza per assaggiare quello che può offire.
Mi immagino che sia un pò come andare ad un buffet di una cucina che non si ha mai provato: alla fine del pasto non si avrà una profonda conoscenza dei costumi culinari del paese, ma sicuramente si avrà una precisa idea dei sapori che li caratterizzano.

E’ incredibile quante esperienze si possono fare in nove giorni, quanti sapori e odori si possono sentire, quante usanze si possono notare.
Non sono certo cose che si possono perfettamente spiegare a parole, ma facendo del mio meglio posso cercare di dare un’idea di quel che è il paese.
E’ necessario premettere che abbiamo viaggiato quasi solamente nella regione centrale del Maharashtra e quindi nonostante usi la parola “indiani” per comodità, mi riferisco in realtà alla gente di questa zona. Altrimenti sarebbe come se un forestiero che trascorre nove giorni in Emilia-Romagna parlasse di usi e tradizioni “degli Italiani”, quando non ha la minima idea delle differenze che intercorrono col Friuli, o con la Sicilia. Detto questo, torniamo a noi.

Sono fermamente convinto che ciò che caratterizza il tutto è la massa, l’ingente numero di persone che brulicano per le strade, per la stazione, nei luoghi di culto, negli autobus, nei treni, nelle mete turistiche.. insomma, ovunque.
Gli Indiani sono tanti: prima di partire avevo letto che la popolazione aumenta di 12 milioni all’anno. E’ come se fra quattro anni tutti gli Italiani andassero in India. E quattro anni dopo tutti gli inglesi e via dicendo. E’ un dato che fa impressione e quando si è nel paese ce ne si accorge.
Varie abitudini sembrano essere instillate in ogni persona: lo sputare per esempio. Uomini, donne e bambini. E non parlo di sputacchini perchè un moscerino entra in bocca, parlo di veri e propri sputi. La cosa non è molto igienica, nè tantomeno estetica.
Un’altra abitudine decisamente negativa è quella di buttare per terra qualsiasi cosa, come se non avessero conoscenza dei cestini. La bottiglia d’acqua è finita? Per terra. Il riso contenuto nel cartoccio è finito? Per terra il cartoccio. Il pacchetto di sigarette è finito? Dritto per terra.
Il risultato (e mi raccomando, bisogna tenere a mente l’alto numero di persone) è la creazione di piccole discariche ai bordi della strada, sopra i binari e persino nei giardini delle case.

Rileggendo quello che ho appena scritto mi rendo conto che l’impressione che dà questo articolo è estremamente negativa, esageratamente negativa.
L’India è comunque un bel paese con un’interessante cultura, con mete affascinanti e coloratissimo.
Ci sono anche persone molto amichevoli ovviamente: qualche buffo individuo quando ci vede si esibisce in un sorridente “welcome to India!”, qualcun altro ci chiede come sta andando la nostra vacanza e qualcun altro ci avvicina per chiedere di scattare una foto-ricordo con noi.
E’ solo un peccato che tutto sia svalutato da ciò di cui ho scritto sopra: ma come sempre ciò che non uccide fortifica!

Dopo un bel viaggio in treno in un vagone pieno di studenti e in compagnia di un Olandese arriviamo ad Aurangabad, posto celebre per il Bibi Qa-Maqbara e per le cave di Ellora ed Ajanta.
La città in sè non ha nulla particolarmente degno di nota, se non per il divertente particolare che ogni Indiano con cui parliamo ci dice “this is a very little town!”, nonostante gli abitanti siano più di un milione.
Il Bibi Ka Maqbara, a 3 chilometri dal centro, merita sicuramente una visita. La costruzione è un mausoleo costruito dal figlio dell’imperatore Aurangzeb per la moglie… e a quanto pare gli piaceva fare tributi appariscenti: con i suoi quattro alti minareti, un’imponente cupola e un colore bianco che quasi riflette i raggi del sole strappa facilmente un sorriso per la bellezza che offre alla vista.

Foto di famiglia davanti al Bibi Ka Maqbara

Foto di famiglia davanti al Bibi Ka Maqbara


Volgarmente viene chiamato “mini Taj Mahal” vista l’incredibile somiglianza con il celebre Taj Mahal di Agra, tappa immancabile per chi viaggia nel nord dell’India.

Non avendo intenzione di passare due giorni dentro delle cave, optiamo per quelle di Ellora, più vicine e più ricche di sculture (a differenza di quelle di Ajanta che sono prevalentemente decorate di pitture).
Nonostante il caldo asfissiante e un sole spaccapietre sono uno spettacolo: la moltitudine di gente in quelle facilmente accessibili smorza l’atmosfera che posson trasmettere, ma basta salire qualche scalinata per trovarsi da soli e godersi lo charme della grotta scavata nella montagna, con tanto di statue, altorilievi e scoiattoli.
Tra le 34 cave la più maestosa è sicuramente quella centrale, che accoglie un tempio dedicato al dio Shiva: con la sua imponenza (per fare un paragone, copre il doppio dell’area del Pantheon) e una ricchezza quasi disarmante di decorazioni, il Kailashnatha non può che creare meraviglia e suggestione nonostante il numero di persone che ci si trova intorno.

Kailashnatha temple

Kailashnatha temple

Dettagli nel Kailashnatha

Dettagli nel Kailashnatha

Sperando di trovare più tranquillità e meno caos decidiamo di prendere il treno per Nasik, una città a 170 chilometri da Mumbai.
Dopo sei ore di spostamento andate meglio del previsto in quanto il vagone non è così affollato come temevamo e il viaggio è arricchito dai venditori che passano urlando “samosa” (un impasto fritto ripieno di spezie e verdure a volontà) e “chai, chai, chai” (un té indiano speziato) arriviamo alla cittadina.
Le dimensioni della città e delle strade sono minori rispetto alla capitale della regione del Maharashtra ma apparentemente non lo è il numero di persone e macchine, trovandoci quindi in un posto ben diverso da quello che ci aspettiamo.
Anche l’ostello in cui ci fermiamo non è proprio dei migliori: nel bagno il pavimento, le pareti, il lavandino e il gabinetto tendono tutti al nero e i materassi dei letti sono pressochè delle tavole di legno.

Donne indiane nei pressi del fiume Godavari

Donne indiane nei pressi del fiume Godavari


Facendo due passi per la città, non così bella in quanto gli edifici appaiono più vecchi e meno caratteristici rispetto a Mumbai, giungiamo nei pressi del fiume Godavari, le cui acque vengono considerate sacre.
La spiritualità per gli Indiani è molto importante e in questo fiume il flusso di persone è sempre costante; c’è chi accende incensi, chi si bagna la testa e chi si immerge completamente.
Nel giro di cento metri un gruppo di bambini gioca con dei rudimentali aquiloni, delle donne lavano i vestiti, una mucca si abbevera in tutta tranquillità, qualcuno si lava i denti e un paio di santoni fumano fissando l’acqua.
Il mercato che fiancheggia il fiume è un insieme di colori ed odori che combattono e si fondono allo stesso tempo.
Coloratissime spezie nel mercato di Nasik

Coloratissime spezie nel mercato di Nasik

La notte ci troviamo di fronte a una difficile scelta: aprire la finestra facendo così entrare una piacevole brezza fresca e una spiacevole ondata di zanzare o lasciare chiuso e sopportare la cappa di calore della stanza?
La scelta ricade sull’opzione B e come previsto trascorriamo una notte insonne; la mattina, belli come sempre tranne le vistose occhiaie, decidiamo di rinfilare la nostra cabina armadio negli zaini e di prendere un treno alla volta di Aurangabad.

E Mumbai fu.

Pubblicato: 28 dicembre 2012 in Senza categoria

Cosa dire su Mumbai? Le cose sono tante, ma come sempre più sono numerose più è difficile raccontarle.

Se andassimo in ordine di bellezza (secondo il nostro gusto personale ovviamente, mai scordare la regola aurea del “de gustibus ne disputandum”) l’elenco sarebbe:
– Chatrapati Shivaji Terminus, un’importante stazione dei treni affollatissima ma davvero stupendo come edificio. E’ poi un concentrato di molti elementi caratterizzanti l’India.
– Chowpatty Beach di sera: passeggiare sul lungo mare può quasi ricordare una camminata serale per la riviera romagnola… fin quando degli Indiani non ti chiamano a mangiare del bhelpuri seduti per terra su un tappeto.
– Central Police Station: a quanto pare ai poliziotti piace avere un bel posto dove stare e se ne son presi uno davvero bello con tanto di palme giganti nel cortile.
– High Court: l’alta corte di giustizia, un edificio davvero elegante, imponente e divertente. Forse quest’ultimo aggettivo non è il primo che salterebbe in mente pensando a questo posto (e forse sarebbe l’ultimo che userebbe la gente che ci lavora), ma vagando spensierati all’interno della struttura lo si pensa. Tra pile di documenti alte mezz’uomo accatastate sul pavimento negli angoli del sottoscala, gente appisolata sugli scalini, qualche povera anima in un’aula del tribunale pressochè vuota a seguire un noiosissimo processo e schiamazzi per i corridoi non può che uscire un sorriso.
– Alberi, alberi e alberi: giganti e numerosi, affiancano quasi tutte le strade e creano talvolta un tetto di foglie sopra le teste delle persone (“piacevoli se, e solo se, un uccello non ti bersaglia dall’alto” Cit. Ester).

Se andassimo in ordine cronologico la lista sarebbe simile, soltanto con ordine diverso. Si potrebbe però allungare l’elenco precedente aggiungendo ciò che non definiremmo bello:
– corvi grandi quanto un gatto infestano le strade.
– La povertà è ben presente: in quasi ogni strada ci sono persone che dormono per terra e bambini che giocano col nulla o con qualcosa trovato per terra.
– Troppa gente chiede l’elemosina quasi fosse un’abitudine e troppo insistentemente.

Ma se andassimo in ordine di quantità, i primi posti non sarebbero in discussione: traffico, sporco e gente sarebbero senza dubbio sul podio. Tutti e tre, decisamente in eccesso, rovinano la città che è molto bella ma svilita dal rumore di motori e clacson, dal rusco continuamente gettato per terra e la puzza che ne deriva e dalle troppe persone che in certi posti rendono quasi difficile camminare tranquillamente.

10 dicembre – 9.30am
Finita l’interminabilissima fila dell’immigrazione e usciti dall’aeroporto, palme e caldo ci danno il primo benvenuto. SAM_4311
Una piccola schiera di indiani che ci avvicina ripetendo “Taxi? Taxi?” ci dà il secondo benvenuto, dopodichè andiamo da una vecchina che siede vicino a qualcosa che può ricordare uno stand con un telefono per chiamare Sidharth, un indiano che avevo contattato su couchsurfing e che aveva detto ci avrebbe ospitati. Sfortunatamente (come abbiamo poi scoperto) ci aveva erronamente dato il numero sbagliato e ci ritroviamo quindi a non sapere dove andare, nè a come farlo visto che il buon Sidharth aveva detto che sarebbe anche venuto a prenderci.
Intanto che stavamo pensando a come fare e chiedendo alla gente come raggiungere il centro in autobus, ci avvicina un tipo proponendoci di andare in un hotel a Juhu Beach (dove vive anche Sidharth) per 2300 rupie, free transportation: quasi 17€ a testa non sono affatto pochi per essere in India, ma contando che Mumbai è costosa, che abbiam dormito poco e niente e che l’Ester non è del tutto tranquilla accettiamo.
In meno di cinque minuti arriva un suo “collega” in macchina che ci carica e ci porta fuori dall’aeroporto.. e l’impatto con Mumbai è tutt’altro che privo di particolarità.
Un traffico allucinante e sregolato domina le strade e un concerto di clacson ne esalta il rumore: la cosa inizialmente ci diverte assai, ma presto la nostra attenzione viene assorbita da quel che vediamo ai bordi delle strade.
Già durante l’atterraggio avevamo visto delle baraccopoli, ma passarci a fianco è un’altra cosa: bambini vestiti di stracci e ovviamente scalzi vagano nel loro cortile, il bordo strada. Altri giocano nudi nel rusco sotto l’attenta supervisione di cani randagi per nulla in forma.

Baracche a bordo strada, Mumbai

Baracche a bordo strada, Mumbai


Nonostante siamo assorbiti da quel che si para davanti ai nostri occhi ci accorgiamo che l’autista, dopo aver accostato per rispondere a una telefonata, inverte il senso di marcia e si ferma dopo poco davanti a un hotel, probabilmente a meno di un chilometro da dove eravamo partiti; ci guardiamo increduli, scendiamo e ci mostrano la camera. Non è neanche terribile, ma fermarci a due passi dall’aeroporto è fuori discussione.
Intanto che autista e proprietaria dell’hotel continuano a farci altre proposte ce ne andiamo e chiediamo a qualche taxista di portarci a Colaba, la zona sud di Mumbai dove si concentrano le cose più belle da vedere e la maggior parte degli alloggi. Inizialmente ci chiedono 1500 rupie, ma ne troviamo in fretta uno che accetta per 500 (circa 7 euro).
Il viaggio fila liscio e fortunatamente il degrado diminuisce pian piano, senza scomparire ma dando spazio ad affascinanti strutture.

Dopo aver pagato il taxista con tanto di mancia per via dell’ingente traffico che aveva dovuto attraversare ci avvicinano due tipi: un piccoletto con la faccia simpatica e un’altro con due occhi da tossico e i piedi pieni di muffe, letteralmente.
“Chocolate? Chocolate?” continuano a ripetere.
“Yes, it’s tasty…” rispondo io.
“Chocolate?” continuano a chiedere, ma questa volta aprendo la mano e mostrando una busta di hashish. Dopo aver capito cosa intendevano e avergli detto che non ci interessava, propongono di portarci in un hotel.
Nel primo rifiutiamo proprio di entrare viste le condizioni, il secondo invece è bellino. Non ha finestre, la camera è piccola e ha un odore di indiano mescolato a fumo.
Costa 1500 rupie a notte (21€), ma abbiamo bisogno di un letto e di un posto dove lasciare gli zaini: accettiamo.

La camera di Mumbai.

La camera di Mumbai.

Dopo qualche minuto di riposo usciamo anche se siamo spossati e… le cose da dire sono tante quante le parole di questo articolo, quindi per i curiosi che lo han letto tutto, non perdetevi il prossimo!

Good bye Bologna, again!

Pubblicato: 14 dicembre 2012 in Spostamenti!
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Era un placido giorno di primavera quando proposi alla mia ragazza, Ester, di andare un anno in Australia e la risposta fu:
“Ma te sei matto!”
Decisi di non insistere, ma a quanto pare l’idea le era piaciuta perchè qualche giorno dopo fu lei a dirmi: “andiamo in Australia.”
Così le proposte diventarono pensieri concreti e i pensieri concreti diventarono biglietti d’aereo.
Con la filosofia di pensiero del “già che ci siamo” (una famosa filosofia della branca del “già che…”, come la tipica “già che sei in piedi”) comprammo non uno, ma tre biglietti: Roma-Mumbai per il 9 dicembre, Hyderabad-Giacarta per il 19 e Giacarta-Perth per l’11 gennaio.

Quando abbiamo deciso di partire, dicembre sembrava lontano… e lo era anche!
Ma siccome il tempo passa inesorabilmente il giorno è finalmente arrivato.

8 dicembre – 6.30pm
Innumerevoli volte siamo passati per la stazione di Bologna, ma questa è stata diversa.
Non c’erano solo sconosciuti o qualche amico a prendere il treno insieme a noi, ma c’erano amici e genitori a salutarci.
Due ore e venti su un frecciarossa per Roma sarebbero state le prime di un lungo viaggio.
Arrivati a Roma dopo qualche piantino e svariati cioccolatini abbiamo incontrato Ralph (un Filippino che mi aveva ospitato a Chiang Mai in Thailandia e che sta ora a Roma) che ci ha accompagnati a casa sua; entrare non è stato facile visto che otto altri Filippini stavano giocando a carte su dei tavolini nel corridoio d’ingresso.

9 dicembre – 3.50pm
Dopo un interminabile fila ai controlli dell’aeroporto siamo riusciti a salire sull’aereo. L’emozione era tanta, ma anche le ore di volo che ci aspettavano non erano poche.

10 dicembre – 9:30am
Dopo un interminabilissima fila all’immigrazione siamo riusciti a uscire dall’aeroporto.
Mumbai, siamo arrivati.

C’era cento giorni fa un viaggiatore che tornava nella sua città natale.
Cento giorni, come quelli che aveva passato nel meraviglioso Sud America.
Altri quarantadue ne aveva passati in Europa prima di arrivarci, altri cinquantotto ne avrebbe passati poi nell’incantevole Asia prima di ritornare nel continente da cui era partito.
Un’altra settimana prima di tornare nella città da cui era partito. Un altro giorno prima di tornare nella casa da cui era partito.

Dopo 208 giorni tornava dai propri amici, dalla propria famiglia, dal proprio letto, dalla propria camera, dalla propria ragazza. Un sacco di cose proprie insomma.
Dopo sette mesi tornava nel mondo in cui aveva vissuto i primi 19 anni della sua vita.

Quante cose da dire, quante da raccontare, quante su cui discutere. Eppure questo viaggiatore fa passare cento giorni prima di mettere questi pensieri per iscritto. E i cento giorni sembrano non bastargli, perchè continua a far passare i minuti pensando a cosa scrivere perchè le cose son molte, a come dirle perchè spiegarle può non essere facile, a in che ordine dirle perchè ordine non hanno, ma son tutte ben legate da un sottile filo invisibile.

A questo punto rilegge le parole che ha messo sul bianco. “Mamma mia quanto sono smielato.”
Ma sono parole che gli escono dal cuore. Pensa prima di scriverle, ma sono proprio quelle le uniche giuste.

Il viaggio gli è piaciuto tanto. Lo ha fatto divertire, gli ha fatto capire tante cose, lo ha fatto emozionare.
Anche tornare gli è piaciuto. Lo ha fatto divertire, gli ha fatto capire tante cose, lo ha fatto emozionare.
Però forse viaggiare gli è piaciuto di più perchè già sta pensando di ripartire.

Continua a riflettere prima di scrivere e capisce una semplice cosa: non può riassumere sette mesi di sensazioni, impressioni ed esperienze in un unico articolo.
Quello che dovrebbe fare sarebbe riempire intere pagine e si immagina con una penna (e non una biro, una vera e propria penna con tanto di inchiostro e calamaio) a lume di candela, intento nel racconto della propria avventura. Lo farà? Non lo farà? Probabilmente non lo farà con una penna, ma potrebbe farlo battendo dei tasti.
Per il momento ringrazia tutte le persone che lo hanno seguito sul blog, mentre sospirando tra sè e sè sussurra: “alla prossima avventura”.